Per il 30ennale di Sala Assoli, dal 10 al 12 novembre (ore 20:30) Malatheatre (ri)presenta Apókryphos, diretto da Ludovica Rambelli, con Dora De Maio, Mauro Milanese, Massimiliano Mirabella, Giorgia Restieri e Serena Ferone, Andrea Fersula, Claudio Pisani.
Lo spettacolo è fortemente ispirato a La Ricotta di Pier Paolo Pasolini e torna dopo quindici anni nello spazio in cui ha debuttato. Per la festa del teatro dei Quartieri Spagnoli, si è riformata in parte la compagnia originaria che per l’ultima volta andrà in scena con Apókryphos nella sua prima versione.
Info: 081.19563943 – botteghino@associazioneassoli.it
Orario spettacolo: 20.30
Note di regia
Apokryphos debutta nel 2000, dopo essersi classificato tra i finalisti del premio scenario dello stesso anno. Per il 30ennale di Sala Assoli ho pensato che fosse il lavoro giusto per celebrare e festeggiare lo spazio che ha visto nascere la gran parte delle compagnie napoletane di ricerca.
Fortemente ispirato da La Ricotta di Pier Paolo Pasolini, Apókryphos riscrive con accenti comici e struggenti la messa in scena della Passione ad opera di una compagnia di poveri guitti. Un’opera che si muove con accoratezza tra la sacra rappresentazione e la farsa, questo oserei dire oggi, riprendendo dopo tanti anni un lavoro della mia giovinezza.
Nel mezzo un “povero cristo”, capocomico senza averlo desiderato, si domanda: “non c’è un dio, qui, che protegga gli attori?” sfiancandosi nel tentativo di riscrivere un copione già scritto, annunciato, compulsato che ha per lui, per noi un finale tragico certo.
Le stazioni, come si dice per le rappresentazioni popolari, si scrivono su di una colonna sonora che spazia tra la musica sacra e quella profanissima anni sessanta, tra la new wave e le fronne, con continue interferenze cinematografiche. Quella era la cifra distintiva di Malatheatre, che tra la fine degli anni ’90 e i primi del duemila fu considerata una delle compagnie giovani più interessanti della ricerca.
Creata da Ludovica Rambelli e Mauro Milanese nel 1997, la compagnia è stata attiva fino al 2009; in questi anni ha messo in scena: Santa, Tristano e Isotta ovvero Malatia, Shake the snake, Apókryphos, Sick at heart, A sera la resa, La passione secondo Don Giovanni, Vissi d’arte morii d’amore, Il sogno di una notte di mezza estate, La conversione di un cavallo.
Con Apókryphos è iniziato per me un lungo percorso di ricerca, iconografica e non solo, che ha portato, più tardi, alla composizione dei Tableaux vivants che sono diventati la cifra distintiva dei miei lavori più maturi. Ludovica Rambelli
I testi non originali sono tratti da opere di: Federico Fellini, Iacopone da Todi, Sant’Agostino, Pier Paolo Pasolini, Vladimir Majakovskij
Le musiche da J. S. Bach, W. A. Mozart, Domenico Modugno, Alberto Ribeiro, St.Joseph’s School Choir, Antonio Machin, Giovanni Gabrieli, Vivaldi, Violent Femmes.
dalla bibliografia di MALATHEATRE
(…) è il teatro del presente assoluto, uno spazio vuoto dove la storia che si racconta, che non sarà mai soltanto una, si mostra per inquadrature, dove l’occhio dello spettatore è costretto a comportarsi come una cinepresa, è costretto a scegliere tra campi lunghi e primissimi piani, obbligato a lunghe zoomate su particolari seminascosti sullo sfondo, condannato a doversi sforzare, a cercare con l’occhio ciò che gli interessa, a temere di aver perso qualcosa di importante, di fondamentale.
Malatheatre non scrive per il teatro, si lascia scrivere sul palcoscenico del cinema degli anni ’50 con la collaborazione dei poeti religiosi del ‘200, spinge fuori a forza dall’oblio le voci dei cantanti anni ’60 e li costringe a fare da sottofondo radiofonico nella bottega dove Caravaggio sistema cadaveri in posa.
Malatheatre usa come mezzo espressivo il teatro perché è l’unico in cui la realtà coincide con il presente, e il presente in azione non ha tempo di organizzarsi in storia, non ha “il tempo”, e dunque invece della logica rassicurante di una storia in progressione, che ci si aspetta abbia una morale, che si pretende abbia una morale, segue la logica dell’intuizione, che di morale non ne ha nessuna o molte. Mette in scena il mito, con tutte le sue caratteristiche peculiari, e tra queste la principale, il suo non essere letteratura e cioè essere contemporaneamente “non ancora” e “già stato” letteratura, il suo poter essere raccontato in qualunque modo si voglia e con qualsiasi linguaggio senza smarrirsi nella forma.