Al Museo del Sottosuolo di Napoli venerdì 29 aprile, alle ore 20.45, verrà rappresentato “Io sono Medea” di e con Laura Pagliara. Da un’idea di Bianca Fenizia; con le voci di Ciro Zangaro e Stefano Aloschi e la partecipazione della danzatrice Mariagiusy Bucciante. Regia di Laura Pagliara.
In molti dicono di averne avvertito la presenza. La strega. Pallida, stanca e disfatta, urla la sua vendetta e la sua rabbia in modo agghiacciante, si aggira nei vicoli della storia e delle storie di amori disastrosi lanciando la sua maledizione allo sposo traditore, alla giovane principessa che glielo ha sottratto e al popolo corinzio che l’ha trattata da selvaggia straniera, lei, che in Colchide era una principessa. Ogni donna si è sentita una principessa tradita e detronizzata almeno una volta nella vita.
Ma l’immagine della sanguinaria fattucchiera maestra nell’uso dei veleni si disfa fra le lacrime, sotto gli occhi dei suoi giudici, solo dopo la pronuncia della sentenza. Perché quanto più la propria coscienza è pulita e le proprie azioni chiare e perfettamente spiegabili, tanto più è difficile difendersi e soprattutto se non se ne sente l’esigenza, convinti che le nostre azioni e la persona che siamo parleranno per noi, che alla fine tutto si sistemerà, che chi davvero deve pagare la pagherà e noi saremo prosciolti da ogni accusa.
Medea ha creduto in quella che secoli dopo una famosa bambina coraggiosa denominerà come “l’intima bontà dell’uomo”.
Anche Medea, come una bambina piccola, curiosa, ingenua, sfrontata, selvaggia, libera, ha spinto i suoi passi troppo in là, troppo oltre la comprensione di chi non può o non vuole correre con lei per comprendere, perché troppo indaffarato a nascondere, a tramare, ad uccidere, nelle sue più svariate accezioni.
La verità del suo infelice e fuorviato amore è semplice. È sempre stato amore, mai tradito, mai distrutto, mai accecato dall’odio, mai assassino, solo assassinato. E ci pregherà di crederle oltre la maschera della storia.
Perché quella, si sa, la scrivono i vincitori, dimenticando la voce dei vinti.
La donna che avremo davanti si discolpa e racconta la sua versione dei fatti. I miti, le leggende e le favole nascono con degli scopi. E così anche la storia di Medea, come lei ci rivelerà, è nata per esigenze più grandi.
Medea ci appare inizialmente attraverso le parole di Euripide, che la dipinge come la strega sanguinaria che tutti conosciamo, decisa a vendicare l’onore tradito.
Una volta “accontentato” il pubblico che vuol vedere l’assassina, una volta toltasi la maschera, essa stessa ci prenderà per mano, accompagnandoci nella grotta (luogo fisico quanto metafisico) nella quale si nasconde da secoli dagli occhi indiscreti, nella quale può togliersi la maschera che il mito le ha calcificato sulla pelle del volto, dove può morire alla favola e rinascere alla sua vita interiore reale, come il passaggio che dalla vita alla morte separa il mollusco dalla sua corazza, la conchiglia.
Da lì ci muoveremo con lei, attraverso il suo racconto, sulla nave Argo, fra i boschi della Colchide, e nelle stanze di due palazzi reali dove si consumano i crimini efferati dell’uccisione dei due giovani rampolli di due regni lontani, ma accomunati dallo stesso destino: la destituzione del matriarcato e della forza libera e selvaggia delle donne. In Colchide suo fratello Apsirto, della cui morte fu accusata la stessa Medea; a Corinto la giovane Ifinoe, prima figlia del re Creonte, il cui sacrificio era indispensabile per la nascita del patriarcato e della società maschile del futuro.
Nella storia che racconteremo in scena, la colpa di Medea non sarà quella di essere gelosa di un Giasone traditore, ma quella di essere troppo sensibile e perspicace e di assecondare la sua intelligenza e sensibilità con l’indagine sui due crimini. Attraverso i suoi racconti assisteremo al disvelarsi di piani politici molto più pratici e concreti dell’odio e della gelosia di cui la “selvaggia strega nera” è stata imputata per secoli; conosceremo la realtà dei fatti secondo la sua “campana”, quella di una donna colpevole solo di essere troppo sveglia.
È una diversa chiave per aprire le porte della stessa storia. E speriamo di più di una storia. Prendiamo Medea come esempio di voci spezzate dalla “versione degli altri”, in questo caso della favola nera del mito, che dipinge di macabro le azioni e il pensiero di una donna che, in fin dei conti, a millenni di distanza, non sappiamo nemmeno se ha davvero compiuto oppure no ciò di cui è stata accusata. E della sua maschera, come i molluschi la conchiglia, ha fatto anche un punto di forza, qualcosa che la terrà in vita e che catturerà l’interesse di tutti, ma oltre la quale solo pochi andranno e troveranno un tesoro emozionale: l’ascolto dell’altro. Perché una qualsiasi decisione, una rotta, la si traccia solo quando si hanno tutte le coordinate.
Spettacolo-monologo ispirato dalla profonda differenza fra le immagini di Medea che danno il testo antico di Euripide e l’autrice contemporanea Christa Wolf nel suo romanzo “Medea – Voci”, in cui la donna non fu mai assassina, strega o dotata di poteri magici, ma una guaritrice, una sacerdotessa, solo una donna; presente nel posto sbagliato al momento sbagliato e con una forza di carattere non accettabile nel suo tempo e nel suo spazio. E forse a tutti è capitato di sentirsi così, almeno una volta.
Museo del Sottosuolo di Napoli (diretto da Luca Cuttitta)
Piazza Cavour, 140 (vicinissimo alla fermata della Metropolitana linea 1 e 2 del Museo)
Per informazioni e prenotazione (consigliata): www.tappetovolante.org – 081.8631581 – 3391888611
Ester Veneruso