Anteprima a Napoli dello spettacolo, L’ultimo Borbone di e con Eduardo Cocciardo con il commento musicale degli EPO, mercoledì 18 maggio ore 21, al Nuovo Teatro Sancarluccio, via San Pasquale a Chiaia n. 49.
Una pièce che vuole essere un canto per Napoli e per tutto il Sud costretto, dalla brutalità della Storia, a rinunciare alle sue potenzialità per divenire niente altro che la brutta copia di sé. Un tavolino, un lume, una seggiola di paglia. In un angolo del palcoscenico, i musicisti sembrano venir fuori come ombre, così come l’attore- narratore. Alle spalle una lucida pagina di quaderno su cui sono proiettate in modo sparso delle cifre, solo apparentemente incomprensibili.
Nicola Lucera è un barbone senza età che vive ai margini della società. L’uomo racconta al pubblico del suo passato quando aveva una famiglia e Napoli non era esattamente quella di adesso. C’erano ancora gli Spagnoli e la città era considerata il centro del mondo. Un giorno arrivarono i “liberatori”. Loro sì che si comportarono da stranieri, saccheggiando le casse del re e reprimendo nel sangue ogni accenno di ribellione. Peccato fossero venuti per fare l’Italia! Fu allora che Nicola abbandonò casa mettendosi in cerca di un domani che non sarebbe mai arrivato.
“L’ultimo Borbone è’ uno spettacolo che nasce da un modello di teatro civile indossando però abiti musicali inusuali per questo genere di narrazione. La musica elettronica e pop degli EPO, oltre a strappare al suo tempo la storia senza tempo di Nicola, guarda ad un presente ed a un futuro della ricerca musicale, accentuando per contrasto l’universalità della vicenda narrata – spiega Eduardo Cocciardo, regista e interprete – Il prezzo pagato per fare l’Italia è stato troppo alto rappresaglie, paesi rasi al suolo ed una grande fetta dello stivale tagliata letteralmente fuori dal centro del mondo. Il barbone Nicola simboleggia proprio questo: lo spostamento periferico di una civiltà a cui i Francesi e gli Spagnoli avevano invece dato una posizione dominante. Quello spostamento è da leggersi come una sorta di sacrificio sul quale il resto della nazione ha costruito le sue temporanee fortune. Ed è stato quel corto circuito storico ad aggravare i nuovi e già antichissimi vizi della nostra città.