Rick (Christian Bale) è uno sceneggiatore di Los Angeles in crisi che si muove stancamente in un universo fatto di eventi mondani, feste in piscina, alcool e fotomodelle seducenti. E’ il mondo di Hollywood dal quale è stato inesorabilmente risucchiato, dimenticando il senso del suo lavoro, dell’amore, della vita. Costretto a fare i conti con il rapporto tormentato con il padre ed il fratello e con le donne che hanno avuto un posto nel suo letto o nel suo cuore, Rick è vittima semicosciente di un vortice di perdizione e vacuità senza fine al quale cercherà di dare un senso inseguendo un significato più alto, ricorrendo alle carte dei tarocchi, che scandiscono i capitoli del film.
Knight of Cups è una fiaba moderna ambientata nell’industria dello spettacolo, dove un cavaliere errante cerca di ritrovare la propria strada e conquistare la perla perduta. E’ un viaggio filosofico ed introspettivo attraverso l’animo umano alla ricerca di se stessi e del significato più profondo dell’essere al mondo. Rick, pur essendo sempre al centro della scena, è il personaggio più taciturno: sono le voci fuori campo, le domande esistenziali, gli introspettivi soliloqui a fare da protagonisti e ad accompagnare immagini mozzafiato in cui perdersi tra gli elementi della natura. C’è tutta la poetica di Terrence Malick in questo film che, pur subendo il peso degli anni, non cessa di essere affascinante, ammaliante. L’estro e l’originalità del regista si leggono anche nella scelta di tenere gli attori all’oscuro della sceneggiatura del film, fornendo loro solo le pagine dei monologhi e costringendoli ad improvvisare facendo entrare in scena un attore all’insaputa di tutti. La macchina da presa segue a stretto giro il protagonista ed i suoi movimenti nel mondo, danzando con grazia insieme a lui, ed è forse questa novità visiva, che coinvolge e sconvolge, l’elemento più originale negli ultimi film di Malick. Un reinventarsi visivo dunque, più che poetico, una boccata di aria fresca in una filmografia che altrimenti rischierebbe di diventare ripetitiva, monotona, copia di se stessa.
Purtroppo non siamo ai livelli de La sottile linea rossa o di The Tree of Life, ed in più punti la noia è dietro l’angolo, ma la spiritualità delle opere di Malick è qualcosa che non si discute, va accettata, e se ci si lascia trasportare, i suoi film possono avere un potere curativo per l’anima. Il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 3 novembre.
Andrea Ruberto