Andrew frequenta lo Shaffer, il conservatorio di Manhattan, e sogna di diventare uno dei migliori batteristi jazz della sua generazione. Per riuscire nel suo intento si esercita alle percussioni fino allo strenuo, al punto da farsi sanguinare le mani. Notato da Terence Fletcher, uno degli insegnanti più temuti dell’istituto, rinomato per i suoi metodi inusuali, entra come batterista di riserva in una delle orchestre più importanti del conservatorio. La dedizione del ragazzo è assoluto, al punto da lasciare la sua fidanzata per dedicare il suo tempo esclusivamente alla sua passione, ma i modi inflessibili e senza scrupoli di Fletcher mettono a dura prova la sua tenacia e divenuto primo batterista dell’orchestra la situazione diventerà ancora più estenuante.
Secondo opera dietro la macchina da presa di Damien Chazelle, Whiplash è nato inizialmente come corto, mettendo in scena quello che sarebbe successivamente diventato il momento più iconico del film, per poi, per fortuna del pubblico, diventare un lungometraggio. La pellicola potrebbe essere catalogata sulla carta come film musicale, ma si rivela essere molto più di quanto non colpisca l’occhio o, in questo caso, l’orecchio. Tra le righe dell’ottima sceneggiatura scritta da Chazelle si nasconde infatti la storia di un conflitto interiore e dell’ascesa personale verso il raggiungimento dei propri obiettivi e sogni. Ancor più importante però è il rapporto conflittuale tra l’allievo ed il maestro. Una relazione ambigua, incomprensibile, che in alcuni tratti assume i connotati di un affetto padre- figlio, in altri si rivela spietata. Ciò che è certo è che il buonismo non è contemplato ed il regista ci risparmia un finale moralista ed evita una catarsi che avrebbe tolto e non dato. Punto di forza le interpretazioni dei protagonisti, una grande scoperta per quanto riguarda il giovanissimo Miles Terrer, una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, per J.K. Simmons che regala una prova d’attore straordinaria. Nessuna nota fuori posto nella partitura di Whiplash, incidendo una melodia che rimarrà impressa nella mente e nel cuore dello spettatore.
Andrea Ruberto