Il film inizia raccontando tre diversi incontri con la morte per poi spostarsi sulle vicende di due venditori porta a porta che cercano di smerciare senza troppo entusiasmo denti da vampiro, maschere da anziano e sacchetti che premuti emettono risate. E’ l’incipit di Un Piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, l’ultimo film di Roy Andersson, vincitore del Leone d’oro al miglior film alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2014. Il titolo trae origine dal quadro di Pieter Bruegel il Vecchio “Cacciatori nella neve” che raffigura degli uccelli appollaiati sui rami sullo sfondo di un paesaggio invernale. Il regista alla vista del quadro dichiarò di aver pensato come gli uccelli da lassù potessero immaginare le vite dei passanti. La pellicola risultato di questo pensiero non può che essere letteralmente assurda, scandita dal nosense e da un particolare humor nero. Il film è composto da trentanove piani sequenza, la macchina da presa è perfettamente immobile ed il risultato è l’impressione di osservare un quadro all’interno del quale i soggetti ritratti hanno preso vita e non essendoci abituati assumono atteggiamenti meccanici, con comportamenti privi di un senso. Allo stesso tempo però vi è anche tra le righe una profonda riflessione sulla miseria umana, una deriva economica ed esistenziale, una ricerca esasperata del divertimento e una società schiava del marketing, tutti elementi incarnati dagli iconici venditori porta a porta di oggetti carnevaleschi di fatto per nulla divertenti. Terzo capitolo della trilogia di Andersson che prosegue con la stessa cifra stilistica e tematica, è senza dubbio il più riuscito . Descrivere a parole un film di questo genere risulta difficile, si può solo ammirarlo, così come si farebbe di un’opera pittorica, lasciandosi suggestionare dalle immagini e dai significati.
Andrea Ruberto