E’ una criminalità organizzata che sembra non conoscere ne ostacoli ne frontiere quella che le forze dell’ordine si ritrovano a combattere e a fronteggiare quotidianamente in una lotta (spesso impari) contro un mostro dalle tante teste e dai mille tentacoli, un vero e proprio stato parallelo impiantato con radici ben attecchite nel substrato nella società come un cancro maledetto che erode tutto quello che di onesto e civile trova sulla propria strada. La camorra da secoli conduce loschi affari che molto spesso rivelano persino contatti con esponenti del mondo della politica, una piaga che contribuisce a rendere quasi invincibile e invulnerabile su certi versanti la malavita organizzata partenopea (e non) che continua a violentare e umiliare un territorio e una popolazione ormai stanchi di subire violenze e soprusi. Non bastano, infatti, gli affari per così dire classici, ormai le frontiere e gli orizzonti si allargano anche nel business criminale (che ha imparato a differenziare e persino diversificare l’offerta prendendo sempre più spesso i connotati di vere e proprie aziende) e oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti – storico e redditizio core busines – si aprono nuove frontiere e scenari per i clan criminali sempre più dominanti ed assetati di potere.
È di stamane la notizia che gli uomini della Guardia di Finanza di Napoli – da quanto si evince dalle parole
del tenente colonnello Roberto Prosperi – hanno scovato e arrestato Domenico Aprovitola (ritenuto uno dei “colletti bianchi” del clan Mallardo attivo nell’area di Giugliano in Campania, a Nord di Napoli, ma anche in diverse regioni del Paese) e suo fratello Alfredo, due esponenti del clan. Inoltre nel blitz sono stati sequestrati beni immobili ed immobili per un valore di oltre settantuno milioni di euro (ottantasette unità immobiliari e nove terreni, gran parte dei quali situati nel territorio di Giugliano in Campania, cinque società – Tecnocem srl, Serfinbank srl, Rocca Azzurra srl, multi Project srl e hotel Suisse srl). Aprovitola, in particolare, è accusato di aver assicurato false assunzioni per mogli e parenti degli affiliati al clan detenuti o
deceduti. Queste persone venivano collocate in aziende che erano costrette ad acconsentire per “ovvi motivi”. Per un periodo i neo assunti percepivano lo stipendio, ma senza lavorare, poi venivano licenziati ottenendo anche l’indennità di disoccupazione. Per ciò che concerne, invece, i legami tra malavita e cosa pubblica, sempre stamane, da quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dalle Procure Antimafia di Napoli e Santa Maria Capua Vetere, Giuseppe Di Nuzzo (tra gli arrestati nel blitz contro il clan
camorristico dei Belforte) faceva pressioni verso esponenti del Comune di Cervino per ottenere l’assunzione del fratello Luigi come addetto alla nettezza urbana. L’indagato durante un colloquio in carcere con gli altri fratelli Armando e Antonio invita questi ultimi ad andare dal sindaco, Biagio Di Nuzzo. Scoperti, inoltre, nel Napoletano, a Boscoreale, 1206 immobili fantasma: villette, anche di malavitosi, magazzini, capannoni, perfino un albergo di oltre duemila metri quadrati con piscina e parco attrezzato che, sulla carta, non esistevano.