Fino a qualche decennio fa il Rione Sanità costituiva un luogo di grande concentrazione di lavoro artigianale. Oggi però l’artigianato partenopeo, e nello specifico di guantai e di calzolai nella Sanità, è un’arte di cui si parla sempre meno.
Nelle case, che si trasformavano in piccole fabbriche nelle prime ore del mattino, venivano ideati e creati prodotti raffinati, di prima qualità, ed esportati in tutto il mondo.
Nel momento in cui l’industria confermava la sua ascesa, però, il mondo dell’artigianato napoletano cominciò a pagarne le conseguenze. Si iniziò a rinunciare alla creatività e alla raffinatezza per far posto alla produttività. L’industrializzazione sostituì quella realtà unica e molte famiglie furono costrette a ritirarsi dalla produzione di guanti e scarpe, anche per la forte concorrenza e per i costi dimezzati che non aiutava minimamente un’azienda a conduzione familiare. È possibile però, ancora adesso, trovare chi resiste e chi per passione continua il lavoro dell’antico artigiano. Alfonso, un anziano signore residente a Vico Croce ai Miracoli, è uno degli ultimi calzolai del rione e dell’intera Napoli.
Interessanti aneddoti sono emersi durante una nostra conversazione spontanea: “Lavoro qui da piccolo, siamo nati con questo mestiere”, esordisce Alfonso. Ci mostra una foto affissa alle pareti della bottega che raffigura lui alla tenera età di un anno con i genitori e gli zii. La sua bottega vive da tre generazioni ormai. “Questa (tra via dei Cristallini e Piazza Miracoli ndr.) era una zona di mercato; prima nei Vergini c’erano solo fruttivendoli. Ora ci sono i cinesi che vendono scarpe a cinque euro. Le scarpe di qualità oggi non le capiscono, sono passate di moda”.
Ritorna, nel nostro discorso, il tema delle case che alle ore del mattino si trasformavano in fabbriche: “Vivevamo in un basso, 8 di noi. Mia mamma la mattina toglieva i letti e aprivamo la fabbrica nella stessa stanza. Anche due miei fratelli lavorano per una fabbrica di scarpe importanti, uno è sulla “strada americana”, presso Melito e Arzano”.
È stato molto interessante ascoltare con quanta enfasi Alfonso parlava dei fratelli e della “fabbrica di scarpe importanti” come un vero e proprio traguardo del loro intenso lavoro. Riaffiora l’argomento della deindustrializzazione urbana e di quella “strada americana”, a poche decine di km da Napoli, che fa tanto “realizzazione dell’American Dream”.
Infine, emerge il forte senso di riconoscimento che si avverte dai racconti di coloro che reinventano il lavoro artigianale e si trasla in un forte senso di appartenenza verso il quartiere. Difatti, Alfonso è innamorato del suo rione: “Mi piace tutto della Sanità, ne sono innamorato. Ho un nipote che è guardia costiera a Pescara che mi dice di andare lì a vivere, tiene una bella casa. […] Io gli rispondo no! Aggià murì ‘cca ddint”.
(fine prima parte)
Salvatore Esposito