I principi d’Avalos arrivarono a Napoli al seguito degli Aragonesi nel 1442. Il palazzo fu fatto costruire agli inizi de XVI secolo tra il 1489 e il 1525, in via dei Mille 48 e 50, da Francesco Ferdinando d’Avalos che vi abitò con la moglie Vittoria Colonna, come residenza della famiglia d’Avalos Marchesi di Pescara e del Vasto. Eretto nel XVI secolo il palazzo fu rimaneggiato nel 1751 dall’architetto napoletano Mario Gioffredo; gli interventi, di stile neoclassico, consistevano nella costituzione di poggioli, precedentemente assenti, utilizzando delle balaustre per ogni vano in modo da evitare la ripartizione in lesene e denotando un leggero bugnato. L’architetto napoletano realizzò la facciata con un alternarsi di finestre e balconi con timpani arrotondati e triangolari, mentre l’ingresso, aperto tra quattro colonne che fungono da sostegno per l’arco del portale e per il balcone sovrastante, conduce ad un vestibolo con volte adornato da nicchie e da stucchi di influenza vanvitelliana. I due corpi laterali di soli due piani ne conferiscono la caratteristica forma di pianta ad “U”, presentano entrambi, nelle facciate contrapposte, altri due ingressi, dal lato dei giardini, dotati di colonnine e poggiolo. Altri interventi vennero eseguiti nel 1840 dall’ingegnere Achille Pulli che realizzò un cancello in modo da separare il giardino dalla strada antistante. All’interno, Alessandro Fischetti affrescò le sale del primo piano, luoghi in cui erano conservati gli arazzi donati da Carlo V e raffiguranti la battaglia di Pavia, nella quale Ferdinando d’Avalos fu grande protagonista catturando il re di Francia Francesco I, poi trasferiti al Museo di Capodimonte. Sul meraviglioso letto a baldacchino in legno, intarsiato e dorato che ripropone sulla spalliera il grande stemma dei d’Avalos, la leggenda vuole che vi abbiano dormito tutti i principi dei d’Avalos e le loro spose dal Cinquecento a oggi. Compresa Maria d’Avalos, assassinata dal marito Gesualdo perché sorpresa assieme al suo amante, Fabrizio Carafa, nella notte tra il 16 e 17 ottobre del 1590. Nel 1984 venne esposto a Capodimonte per la mostra curata da Raffaello Causa sulla “Civiltà napoletana”. Alle spalle del palazzo vi è un vastissimo giardino di alberi secolari assolutamente invisibile dalla strada e chiuso alla pubblica fruizione. Il palazzo ora si presenta a fronte strada su via dei Mille che all’epoca non esisteva. Da una cartografia di metà Ottocento risulta che in realtà l’attuale ingresso del palazzo era raccordato con via Cavallerizza da un Largo del Vasto, spostato rispetto all’attuale, e che inglobava anche l’attuale via Nisco. Attualmente è in corso un’opera di ristrutturazione, in quanto è di proprietà della Vasto srl che ha prodotto un progetto di restauro approvato dalla locale Soprintendenza. La Vasto srl ha fatto il primo passo, infatti, Corrado Ferlaino (consigliere) e sua figlia Tiziana, presidente, con un loro tecnico, hanno lasciato l’ala che ospita alcuni uffici della loro società e, hanno fatto un sopralluogo negli appartamenti nobili: il principe Andrea li ha guidati di stanza in stanza, fino al salone degli specchi compromesso da infiltrazioni e dal crollo della controsoffittatura lignea, una lunga «passeggiata» dal primo al terzo piano. Obiettivo individuare le origini delle infiltrazioni che negli anni hanno lacerato e ferito uno dei palazzi simbolo della storia di Napoli. I Ferlaino hanno verificato le condizioni di degrado di quella parte che ininterrottamente dal Cinquecento è stata dimora dei d’Avalos. Preso atto della situazione, fatta una prima indagine tecnica, la seconda fase prevede ora la definizione di un progetto quantomeno per la messa in sicurezza del palazzo. Si dovrà anche poi provvedere a stilare un calendario di interventi, tenendo conto del fatto che nell’ala più danneggiata, il principe vive con l’anziana madre. Un passo importante, presagito dal soprintendente La Rocca, ovvero di attenersi al codice dei Beni culturali. Avviando il procedimento ai sensi degli articoli 32 e 33, quelli, cioè, relativi agli interventi conservativi imposti che recita così: «Il ministero può imporre al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente». Questo è l’inizio, si spera, del secondo risultato importante. Il primo è stato la messa in sicurezza delle carte private d’Avalos all’Archivio di Stato di Napoli diretto da Candida Carrino. Andrea d’Avalos (classe 1971), il giorno 8 novembre 2019, è arrivato all’Archivio di Stato di Napoli, ex monastero dei Santi Severino e Sossio, intorno alle 15, accompagnando settecento anni di carte, imballate in 93 scatoli, dalle pergamene reali alle bolle pontificie. I documenti conservati nei secoli dalla famiglia d’Avalos, in varie occasioni sono stati visionati dagli studiosi, ma si trattava di consultazioni occasionali. Ora questo patrimonio potrà entrare in relazione scientifica con documentazioni analoghe conservate in tutta Europa.
R.D.A.