Jacopo Cardillo, in arte Jago, è considerato il miglior scultore al mondo. Da poco si è trasferito a Napoli, con l’intento di stravolgere l’intera città con la sua arte. Tra le opere più famose, il figlio velato, una scultura dalle mille interpretazioni, raffigurante un bambino supino ricoperto da un velo, chiaro riferimento al Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, e Habemus Hominem, una scultura nata vestita e “spogliata” a mano dopo le dimissioni di Papa Benedetto XVI.
Giuseppe Bertuccio d’Angelo di Progetto Happiness, ha intervistato lo scultore nel suo studio, una fantastica chiesa nel quartiere Sanità. All’interno vi sono diverse opere, tra cui lookdown, comparsa qualche giorno fa ai piedi di Piazza Plebiscito. L’opera intitolata “guarda giù, guarda in basso”, rappresenta un feto di marmo bianco, con gli occhi stanchi e incatenato. Col suo gioco di parole, Jago invita la politica, i vertici e le persone a non abbandonare e dimenticare la classe meno agiata della popolazione.
Tale opera è stata realizzata a New York, e prendeva il nome di homeless. Jago spiega che nella città americana i senzatetto sono presenti in ogni angolo e, ad un certo punto, quasi non si notano più. Come se fossero parte della vegetazione, come se tutto fosse normale. Il problema, secondo l’artista, è che l’uomo non vede il bambino che c’è dietro gli homeless.
“Se potessi immaginare che questi sono stati dei bambini, dei bellissimi bambini. Immagina quello stesso bambino buttato per strada, abbandonato”.
Poi ancora, Venere, una scultura etichettata come antiviral art. L’opera rappresenta una donna anziana, dal corpo nudo e vissuto. Una contrapposizione con la contemporanea idea di bellezza estetica.
“La domanda è quando una donna è Venere? Se una donna è Venere lo è per sempre. Io la riconosco nella decadenza di un corpo che subisce l’influenza del tempo”.
All’intero del suo studio, Jago ha il modello in gesso di quello che, probabilmente, sarà una delle sue opere più incredibili: un uomo straziato ed accovacciato che tiene in braccio una donna. Prima di divenire arte in marmo, l’artista prepara un modellino in argilla, così da preparare la dinamica del futuro lavoro, curare i dettagli e replicarlo su scala più ampia.
Infine, come ad ogni fine intervista, Giuseppe pone la fatidica domanda: “Cos’è per te la felicità?”
Jago risponde che “la felicità non è più importante delle altre cose. Ha un valore proprio perché facciamo esperienza delle altre cose. Il nostro avversario su un campo di calcio è l’opportunità di provare a noi stessi il nostro livello. Senza di lui sarebbe impossibile. Dobbiamo ringraziarlo. Chi gioca questa partita? C’è chi vince e c’è chi impara.
Chi pensa che esistono vincenti e perdenti, si allontana dalla comprensione. Chi perde è solo chi non partecipa. La felicità, e al contempo la mancanza di essa, partecipa a questo viaggio che stiamo facendo”.
Salvatore Esposito