Sandro Mazzola è considerato uno dei migliori calciatori italiani di sempre; figlio di Valentino, ha legato il proprio nome a quello dell’Inter, con la quale ha giocato dal 1960 al 1977 collezionando in totale 565 presenze e 158 reti. Con la maglia nerazzurra ha vinto quattro campionati nazionali, ma soprattutto due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Dell’Inter è stato anche capitano per sette stagioni (dal 1970 al 1977) succedendo a Mario Corso. Terminata la carriera agonistica, ha ricoperto diversi ruoli dirigenziali all’interno del club nerazzurro, l’ultimo dei quali lo ha visto occupare l’incarico di direttore sportivo dal 1995 al 1999 (Wikipedia)
Mazzola è intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni raccontandoci come è nata la sua avventura che lo ha portato ad essere una bandiera dell’Inter e del calcio Italiano.
D: Mazzola classe ’42, Attaccante seconda punta e simbolo del calcio italiano, una vita dedicata all’Inter dall’U19 alla prima squadra, insomma una vera bandiera. Cosa ricorda in particolare di quelle annate bellissime e sopratutto com’è nata questa sua esperienza.
Ricordo molto i primi anni in cui ho iniziato a giocare. Non mi sviluppavo, non crescevo ero mingherlino. La mia esperienza verso l’Inter è nata grazie ad un attaccante toscano, Benito Lorenzi anche Nazionale che ai tempi del grande Torino non giocava quasi mai poiché la nazionale maggiore era formata da dieci undicesimi giocatori granata. Mio papà, capitano della Nazionale, disse all’allenatore di fargli giocare una partita a questo ragazzo. Da quel momento Benito apprezzava talmente mio papà come se fosse un Dio che quando fui un po’ più grande e purtroppo dopo aver perso il mio genitore nella tragedia di Superga, mi volle portare a fare la mascotte del Torino.
Sandro Mazzola e la premonizione di Benito
Diceva che mio papà dall’alto vedeva e gli faceva vincere gli scudetti. Infatti ne vinse due, non credo per quel motivo però la realtà dei fatti è questa. Noi andavamo sempre alla manifestazione dell’ anniversario della tragedia a Torino e lui ci portava in macchina, anche se la nostra intenzione era quella di andare in treno perché lui litigava con tutti sia sé lo superavano sia per qualsiasi altro motivo. Ci faceva molto piacere andare, una volta mentre eravamo negli spogliatoi dell’Inter, durante la preparazione dei calciatori, io e mio fratello giocavamo un po’ a calcio. Giovannini e altri giocatori mi dissero che ero bravino, mio fratello era piccolino e mi proposero di giocare nelle giovanili dell’Inter. Lorenzi disse che ci portava lui, ma dopo diversi appuntamenti, puntualmente si dimenticava di venirci a prendere.
La svolta
Un giorno invece il mio patrigno, perché mia mamma si era risposata, mi portava agli allenamenti dell’Inter e disse all’allenatore dell’epoca Giovanni Ferrari se mi poteva provare, infatti provò me ed altri e ci prese.
Benito esclamò :” Ma ti ci dovevo portare io”, io gli risposi che si dimenticava sempre e avevo provveduto. (ride)
Il sogno Torino
Volevo giocare nel Torino, sia per valore affettivo, sia perché avevo fatto anche da mascotte nel derby. Quando andavamo a questo avvenimento, io e il figlio del capitano del Torino De PETRINI ci incontravamo a centrocampo e con aria cagnesca dopo ognuno andava su una panchina, quella della Juventus o del Torino.
La mente e i ricordi
Quella volta quando andai a giocare non presi una palla. Da lì si vedeva la Basilica di Superga dove era caduto l’aereo e io guardavo insistentemente; giocavo male, non mi riusciva nulla, troppi i ricordi del mio papà. Però Giuseppe Meazza grande allenatore, ma anticomplimenti e che ti metteva sempre in riga, a fine partita venne a metà campo, cosa che non faceva mai, mi mise una mano sulla spalla e mi disse in milanese, ho capito tutto non ti preoccupare, io quasi piangevo. H le lacrime agli occhi tornai a casa che avevamo vinto e mia mamma mi disse ma hai vinto o hai perso? Che brutta faccia. Dissi, mamma abbiamo vinto ma ci sono altre cose che non si possono spiegare. Io ero un tipo molto chiuso e mi tenevo tutto dentro.
D: Mazzola che partita ricorda con maggior emozione?
Una partita mi è rimasta nella testa, la prima mia finale di Champions League ex Coppa dei Campioni. Giocavamo contro il Real Madrid in Spagna ed io ero veramente emozionato alla vista di Alfredo Di Stefano, per me il giocatore che mi piaceva di più e mi ricordava molto mio papà a. Quando c’era la finale si vedeva anche la partita in Italia. Lui mi venne a salutare a centrocampo e mi disse:” Ehi qui comincia la partita”. All’inizio non presi una palla, due tre volte Armando a limite dell’area di rigore mi disse :”ci svegliamo o no?”, così feci il gol vittoria.
Di Stefano mi disse:” Sei degno di tuo padre” e così per me ebbe più importanza questa frase che la vittoria in sé stessa. [Armando] Picchi era un grandissimo capitano – spiega -. Ogni tanto ci permetteva di toccarla e alzarla e a noi non sembrava vero. Quando siamo tornati in albergo non riuscivamo a dormire, siamo stati in piedi tutta la notte a chiacchierare. Solo allora abbiamo capito di aver vinto la Coppa dei Campioni”.
Sandro Mazzola, differenza tra il calcio di ieri e di oggi?
Le differenze? Oggi c’è molta più condizione tecnica e preparazione, prima invece era un calcio di strada si arrivava alle giovanili già con un metodo di gioco. Ma oggi secondo me hanno meno inventiva rispetto a prima. Era un mondo di verso, ragazzi che giocavano con le pietre perché non c’erano i soldi per comprare il pallone e si trovavano nella massima divisione improvvisamente. Di certo ti insegnava veramente tanto e mi hanno fatto diventare ciò che sono ora.
Sandro Mazzola, un appello a tutti i giovani che vogliono andare avanti nel calcio e nella vita.
L’importante come ci diceva il nostro grande allenatore, non devi pensare che sei il più bravo perché hai vinto, ma pensare che c’è sempre qualcuno che vuole prendere il tuo posto, che sia una squadra o un giocatore. Dare sempre il massimo in allenamento e nella vita.
Grazie a Sandro Mazzola per la sua disponibilità e simpatia.
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Diego Marino