Se parliamo di attaccamento a questa terra, il pensiero corre subito ad Elisabetta Montaldo, procidana di adozione, costumista con all’attivo numerosi e prestigiosi riconoscimenti, scrittrice e pittrice, nonché figlia d’arte, essendo suo padre il grande regista Giuliano Montaldo. Ad Elisabetta, profonda conoscitrice dell’isola e visceralmente legata alla stessa, abbiamo chiesto qualcosa in merito all’assegnazione: ”Immaginiamo cosa abbia rappresentato in termini di orgoglio questo riconoscimento, ma in misura fattiva, lei che è sempre stata in prima linea, cosa vorrebbe si facesse di concreto per un definitivo salto di qualità di Procida?”
“E’ vero, da quando ho scelto come porto l’isola dei miei avi marinai sono stata in prima linea nella difesa di questo territorio antico, fragile e prezioso come un merletto di spuma in mezzo al mare e la definizione di Procida Capitale della Cultura mi fa sognare e mi inorgoglisce, come inorgoglisce ogni procidano, anche quelli che navigano negli oceani più immensi. Vorrei rispondere a questa domanda sperando nel recupero di un progetto già pronto e realizzato, il piccolo museo di oggetti, quadri e costumi antichi che raccontano in breve ai visitatori l’avventurosa storia marinara dell’isola dai pre-fenici alle navi del futuro coadiuvato da un video bilingue “L’Oro di Procida” che ne ripercorre le tappe. L’esposizione è stata messa in opera due anni fa dall’associazione da me fondata “L’Oro del Mare” con un successo strepitoso, articoli su quotidiani, commenti lusinghieri di ospiti più che illustri, doveva essere permanente invece è stata chiusa dopo due mesi per l’inadeguatezza del locale, ahimè, nessuno ci ha aiutato a rimetterla in piedi e con la Capitale speriamo… chissà! Ma non mi limito a questo (anche se è molto importante conoscere la storia della terra che si calpesta e se questa è delicata come Procida, ci si deve approdare con rispetto e in punta di piedi). Ciò che mi interessa davvero è dare la priorità alla soluzione a quelle magagne che rischiano di arrivare al ‘punto di non ritorno’.
Il punto di non ritorno
Il mio impegno su questo iniziò una decina d’anni fa quando promossi con il giornalista Giovanni Valentini la petizione “Salvare Procida” alla quale aderirono le firme più importanti della cultura italiana da Renzo Piano a Ennio Morricone. Il testo uscì in un articolo di due pagine su “La Repubblica” il giorno di Natale e fu seguito dal documentario Salvare Procida (visibile su youtube) con la regia di mio padre e le musiche del Maestro. Vi si descrivono la storia e le bellezze dell’isola sottolineandone le fragilità, prima tra tutte il consumo degli spazi verdi che l’hanno resa famosa (i “giardini imperiali” di morantiana memoria) dovuto all’abuso edilizio strisciante e ai parcheggi che lo hanno divorato in decenni di ignoranza ambientale. Da ‘Salvare Procida’ cominciò a crescere un barlume di consapevolezza, “Che stiamo facendo alla nostra isola?” pensò la parte migliore dei suoi abitanti. Io venni punita con una serie di ricatti e mi presi una pausa dedicandomi ad un’altra impresa vittoriosa, il recupero dell’abito antico delle procidane, un unicum mediterraneo che testimonia come null’altro il ruolo delle ‘armatrici’, come un vero e proprio libro di storia con pagine di seta ed oro, missione compiuta!
Mi dedicai anche alla fondazione di una libreria al porto scommettendo sul buon livello culturale dei miei concittadini e anche quella fu una battaglia vinta, la casa editrice Nutrimenti ebbe il marinaro coraggio di investire e i procidani non li delusero, oggi la libreria va a gonfie vele, ci si trova di tutto e stampa libri su Procida di altissima qualità editoriale ed estetica e promuove un festival letterario “Procida racconta” che vede protagonisti personaggi dell’isola raccontati da grandi scrittori italiani. In seguito mi dedicai alla critica di una situazione inaccettabile, l’installazione di un discutibile totem alto sette metri accanto all’unico bene restaurato e panoramico di Procida, la seicentesca Santa Margherita. Anche quella battaglia fu vinta perché mi affiancarono il FAI, le Università e tanti ragazzi di buona volontà con la guida del giovane capo dell’opposizione Dino Ambrosino che ora è il nostro amato sindaco. Al gruppo demmo un bel nome “La Procida che vorrei” che si presentò alle successive elezioni e le vinse, ora le ha vinte di nuovo e porta avanti questo bel progetto che è parte del suo DNA.
Perché dico che in tutta questa faccenda considero prioritari i temi che rischiano di arrivare al ‘Punto di non ritorno’? A Procida dovrà senz’altro migliorare la disciplina del traffico, la qualità dell’accoglienza, il restauro dei monumenti, l’accoglienza turistica (che con diecimila abitanti tra i quali tremila marittimi ad alto reddito su quattro chilometri quadrati dovrà per forza di cose essere assai limitata), questi temi importanti rientrano nel piano Capitale della Cultura e la nostra gagliarda e giovane amministrazione vi lavora alacremente. Ma per rispondere alla vostra domanda ritengo che sia necessario fermare subito il consumo del suolo, i piccoli e diffusi abusi edilizi, i parcheggi privati che continuano a divorarlo perché da questa iattura sarà impossibile tornare indietro. Bisognerebbe censire il poco verde privato rimasto e metterlo sotto protezione con apposite leggi e severi controlli perché di questo passo altro che “giardini imperiali”, non resterà un filo d’erba e verranno tempi nei quali rimpiangeremo i nostri ortaggi deliziosi, i nostri alberi da frutta e sarà troppo tardi.
Un altro ‘Punto di non ritorno’ è il continuo danneggiamento delle nostre case preziose: dall’architettura islamica medioevale dei porti e dei casali alle caccette borboniche del settecento, dagli ottocenteschi e seicenteschi palazzi degli armatori al cimitero antico sul mare dove riposano personaggi illustri. Un ottimo Piano del Colore approvato alcuni anni fa disciplina puntigliosamente le ristrutturazioni anche nei materiali da usare non solo per le case ma per i cortili e i giardini e persino le luci giuste che non ne stravolgano la bellezza. Ma questo Piano resta spesso lettera morta, molti non lo conoscono affatto, pochi professionisti lo rispettano, i controlli sono scarsi, quindi nelle mie passeggiate vedo ogni volta sparire o contraffare per sempre queste testimonianze di un’architettura fonte d’ispirazione dei pittori nei secoli, alla quale sono dedicati libri e studi internazionali fin dagli anni venti. Con la Capitale della Cultura va fermata subito questa trascuratezza che rischia di far perdere per sempre la dignità e il carattere di questo luogo speciale”.
Ruben Zaccaria