“C’est pour les analphabètes que j’écris” dice Antonin Artaud, volendo con questo intendere diverse cose, una delle quali, in particolare, interessa l’operazione che stanno mettendo in piedi Marco Aliberti e Claudio Sorrentino. scrivere per gli analfabeti, in un caso come questo significa, semplicemente (pure se nulla in quest’operazione è semplice), scrivere dalla parte di, al posto di, dando voce a… chi evidentemente non ce l’ha e non potrebbe mai avercela, non foss’altro per il fatto evidente che non ha i mezzi con cui farla sentire. la scrittura, da sempre, è il medium che amplifica, portando lontano, nello spazio e nel tempo, la propria voce ossia la propria intimità, che da cosa privata e personale, si fa pubblica, intersoggettiva, condivisa, comune, in una sola parola, politica. e scrittura può dirsi in tanti modi, quanti sono quelli che le tecniche di registrazione ci mettono a disposizione: dalla traccia grafica (manuale o meccanica) alla registrazione audio e video. sono questi tutti mezzi, “media”, appunto, secondo il termine latino, con cui l’umano tenta un riscatto dall’irriducibile singolarità e privatezza della propria esistenza. l’umano, quindi, nel suo stato fondamentale, non manifesta altro che la sua esposizione alla precarietà del flusso modificante della e nell’esistenza. l’arte, da questo punto di vista, come sistema organizzato di scrittura (nel senso di traccia istituita, sia essa iconica, verbale, plastica, musicale, gestuale ecc.), rappresenta la forma di emancipazione per eccellenza dalla modificazione “precarizzante”. L’arte che, consapevole di tutto questo, si presenta come forma di emancipazione degli ultimi, dei senza voce, a cui rende la possibilità di un ascolto, incarna, dunque, il senso più pieno di un suo destino.
A Marco Aliberti e Claudio Sorrentino va, allora, il mio più sincero augurio di acquisire consapevolezza sempre più profonda e sentimento sempre più manifesto dell’importanza dell’operazione che stanno cercando di mettere in piedi, nell’auspicio di un fiorire massiccio di operazioni come queste, in quei luoghi della città apparentemente mai immaginati come idonei ad accogliere azioni artistiche.
Prof. Dario Giugliano