A oltre trent’anni dalla messa al bando della ‘fibra killer’ la bonifica dell’amianto in Italia avanza a passo di lumaca, mentre di asbesto ci si continua ad ammalare. Un dramma che ogni anno coinvolge centinaia di famiglie, ma la risposta dello Stato è frenata da troppa burocrazia e pochi impianti e il tema continua a scontare l’indifferenza della politica. “Stiamo per andare a elezioni in due regioni, ma in nessuno dei programmi dei candidati compare la parola amianto” ha dichiarato Fabrizio Protti, presidente dello Sportello Amianto Nazionale, nel corso del digital talk di Ricicla.tv ‘Ancora cento anni di amianto per l’Italia?’. Alla domanda del titolo la risposta di Protti è stata lapidaria. “In trent’anni – ha spiegato – da 2 miliardi di metri quadrati di coperture in cemento amianto siamo arrivati a 1,2. Ne abbiamo rimossi solo 800mila. Altro che cento anni – ha sottolineato – ne avremo molti di più”. Dal 1992, data della messa al bando, la guerra alla fibra killer si è impantanata nella più classica delle paludi burocratiche all’Italiana. “Oggi abbiamo più di 400 provvedimenti cogenti in materia – ha chiarito il geologo e consulente Inail Stefano Massera – e la cosa è stata resa ancor più complicata dalla riforma del Titolo V. Le singole regioni legiferano autonomamente e il quadro normativo è diventato estremamente frammentato e contraddittorio”.A nulla è valso il tentativo, voluto nel 2019 dall’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa, di mettere in piedi una task force per riordinare la normativa in un testo unico. Per Massera, che di quel gruppo di lavoro era componente, la ragione del fallimento sta “nella enorme complessità della materia”, che va dalle mappature alle bonifiche, senza dimenticare la dimensione giudiziaria e previdenziale. “Solo Inail – ha ricordato – ha gestito in questi trent’anni un milione di domande di accesso al fondo vittime per l’amianto”, ma la farraginosità del quadro normativo rallenta l’istruttoria. “Solo dopo moltissimo tempo si riconosce la correlazione della patologia con l’attività lavorativa svolta – ha spiegato la deputata Debora Serracchiani – e spesso nel frattempo le aziende hanno chiuso o non hanno più la possibilità di fornire le informazioni necessarie a ricostruire il fascicolo per l’accesso agli strumenti previdenziali”.
Accanto al tema della previdenza c’è quello delle bonifiche. Per rimuovere i materiali contaminati serve prima individuarli, ma la mappatura in molte regioni è ancora lontana dall’essere completata. Un contributo fondamentale può venire dalla tecnologia. È il caso dei nuovi metodi di individuazione delle coperture in cemento amianto tramite telerilevamento e scansione a infrarossi lanciati nel 2009 dall’Università di Chieti, che permettono una lettura rapida e capillare del territorio. “La società spin off dell’Università ha lavorato su circa 15 regioni italiane – ha spiegato il professor Giuseppe Pomposo – arrivando a mappare per intero Calabria e Molise e, a macchia di leopardo, anche regioni come Emilia-Romagna e Lazio”. I numeri tracciano un quadro articolato. “Più del 50-60% delle coperture individuate nelle nostre città – ha chiarito Pomposo – ha una superficie inferiore ai 50-60 metri quadrati, legata quindi a piccola edilizia civile. Il problema è capillare e intimamente distribuito nei nostri tessuti urbani”.
Se la tecnologia rende più rapida, e meno costosa, l’individuazione dei materiali contaminati, la loro rimozione invece continua ad avanzare a un ritmo che non è quello che un’emergenza nazionale richiederebbe. Anzi, secondo Ispra si è passati da oltre 530mila tonnellate bonificate nel 2012 a 385mila nel 2020. Piuttosto che accelerare, stiamo rallentando. Ma perché? “Non è un problema legato alle tecniche e tecnologie di bonifica – ha chiarito Antonio Marotta di Geos Environment – ma alla carenza di impianti e, di conseguenza, al costo di smaltimento dell’amianto. Oggi una parte importante d’Italia va tutta al nord per smaltire il proprio amianto, visto che al centro e al sud non ci sono discariche sufficienti, a parte piccoli impianti di stoccaggio che riescono a fare poco”. I viaggi fanno lievitare i costi di rimozione al punto da vanificare anche lo stanziamento di fondi per le bonifiche negli edifici pubblici o l’introduzione di agevolazioni fiscali per aiutare i privati. “Molti interventi riguardano quantità minime di materiale, come canne fumarie o cisterne in eternit – ha aggiunto – ma già il solo costo dell’istruttoria per ottenere l’autorizzazione alla rimozione può essere proibitivo per le famiglie, che spesso preferiscono tenersi il problema”.
“Bisogna completare la mappatura con le nuove tecnologie e definire un iter corretto per l’apertura di nuove discariche, magari facendo in modo che sia lo Stato a decidere dove realizzare i nuovi impianti di prossimità – ha spiegato Fabrizio Protti – dopodiché serve fare una grande sintesi tra pubblico e privato coordinata da una cabina di regia che sappia fare impresa, cioè che sappia portare a termine ciò che si inizia. In trent’anni abbiamo avuto tantissima filosofia, nessuna sintesi e nessun obiettivo temporale”. “Serve un approccio concreto che tiri il tema amianto fuori dall’ambito della propaganda – ha aggiunto Giuseppe Massera – altrimenti siamo destinati ad andare avanti così per altri cento anni”.