NAPOLI – Jossef viene dal Marocco, ha 14 anni, ma vive in Italia da quando ne aveva 7. Da grande vuole fare il ragioniere, ma ha la fissa per il pallone. Gregory ha 11 anni ed è di origine polacca. Gioca come centrocampista e come idolo ha Cristiano Ronaldo. Zagaria, quattordicenne originario di Casablanca, è invece un vivace difensore. Parla di Benatia e gli si illuminano gli occhi. Vivono nel nostro Paese, ma hanno ben chiaro il ricordo del proprio.
L’ESEMPIO – Le complessità della lingua, quelle dell’accoglienza. Il dover ricominciare una vita diversa, una nuova casa. Jossef, Gregory e Zagaria, non sono immuni dai problemi di tanti minori stranieri, ma ad aiutarli nel loro percorso di identità e cittadinanza, ci pensano un campo di calcio ed un pallone. La loro esperienza, attraversa un piccolo paese della provincia di Napoli, Striano. Qui dà inizio ad una storia di accoglienza e coesione sociale, capace di restituire allo sport un’immagine pulita. Loro si allenano tutti i giorni nella “Scuola Calcio Striano”, una squadra affiatata composta da 20 piccoli calciatori, multietnica ed allegra, dove al di là dei tecnicismi calcistici, si “impartiscono” valori e si allontanano presunte differenze che ghettizzano. Un gruppo che condivide gioie e problemi, vittorie e sconfitte, coadiuvato dai mister Michele, Luigi ed Antonio, visti come dei fratelli maggiori. «A scuola calcio- dichiara il Presidente Luigi Corrado – l’integrazione è un fenomeno naturale. Avviene in maniera sana e spontanea. Con le regole del gioco e dello spogliatoio, si diventa subito un’unica famiglia. Il confronto aiuta i ragazzi a incuriosirli verso il viaggio e lo studio». Un messaggio positivo che arriva dalla periferia e che si snoda ed intreccia attraverso il significato profondo di parole come amicizia, crescita, autodisciplina, aggregazione, unione, sacrifici, riscatto, forza, volontà.
LA BUROCRAZIA – Ci sono però spesso ostacoli che partono dall’alto. I ragazzini immigrati prima di essere ammessi nelle scuole calcio italiane devono fare i conti con controlli capillari ed iter procedurali lunghissimi, collegati alla Fgci e alla Fifa. Viene chiesto, infatti, oltre al certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia, il permesso di soggiorno dei genitori «avente scadenza non anteriore al 31 gennaio dell’anno in cui termina la stagione sportiva per la quale il calciatore richiede il tesseramento». E così i figli degli “irregolari” non possono permettersi la libertà di inseguire un pallone oltre che rivendicare a causa di una “burocratica discriminazione”, il sacrosanto diritto allo sport, allontanandoli da una necessaria cultura sportiva in grado di orientarli e formarli e da un punto di vista educativo che sociale.