1939, Regno Unito. L’esperto crittografo e brillante matematico Alan Turing (Benedict Cumberbatch) decide di prestare servizio per il suo paese nel tentativo di arginare il conflitto mondiale. Attraverso la macchina “Enigma”, lo scopo è quello di decriptare i codici segreti nazisti. La missione è quanto mai ardua, soprattutto a causa del fatto che i tedesci cambiano la chiave di codificazione dei messaggi ogni giorno a mezzanotte. La svolta sarà guidata da Turing che, diventato capo del gruppo di matematici non senza dissapori interni dovuti al suo essere schivo e saccente, deciderà di partire al contrattacco, decidendo di costruire una macchina battezzata Christopher (colui che porta Cristo) per decifrare automaticamente i codici.
The imitation Game, il nuovo film di Morten Tyldum, mette in scena attraverso uno stile registico tipicamente british la vera storia del matematico inglese Alan Turing, passato alla storia per il suo contributo nel conflitto mondiale, ma ingiustamente perseguitato in vita a causa del suo essere diverso. Una diversità di natura sessuale, repressa dal bigottismo britannico che ha portato al suicido alla sola età di quarantuno anni una delle menti più brillanti ed allo stesso tempo eccentriche di quegli anni. La pellicola che costituisce un thriller incalzante seppure con un andamento uniforme, senza accelerate, tiene conto del cinema classico e di quello moderno. Su tutti il richiamo più forte è quello a A Beautiful Mind, il capolavoro di Ron Howard in cui John Nesh (uno straordinario Russel Crowe), anch’egli matematico e crittografo è chiamato a fare i conti con la sua diversità, quella volta dovuta ad un caso di schizofrenia. Impreziosito da un’ottima fotografia, a rendere The Imitation Game ancora più elegante sono le ottime interpretazioni del cast. Da Keira Knightley a Mark Strong, ma su tutti il protagonista Benedict Cumberbatch. Dopo le ottime prove d’attore offerte in La Talpa, nei panni di Smaug ne Lo Hobbit e nella serie Tv che lo ha portato alla fama mondiale Sherlock, regala qui un’interpretazione di una forza e allo stesso di una fragilità incredibile, dando ancora più spessore alla figura e alle sofferenze di Turing.
Andrea Ruberto