Margherita (Margherita Buy) è impegnata nella produzione di un film politico sulla crisi dell’economia italiana che mette in scena lo scena lo scontro tra gli operai di una fabbrica e la nuova proprietà americana che minaccia tagli al personale e licenziamenti. Sul set dovrà fare i conti fino allo strenui con i capricci della star del film (John Turturro), l’attore italo-americano scelto per il ruolo del nuovo proprietario. Se l’ambito del pubblico e del lavoro le da noie, lo scenario privato è ancora più nero. Divorziata e con una figlia adolescente che frequenta senza particolare slancio il liceo classico come prosieguo di una tradizione familiare, che ha origine dalla nonna, mamma di Margherita, professoressa di latino e greco. L’anziana signora è ricoverata in fin di vita in un ospedale della capitale dove la protagonista fa i turni per vegliare sulla madre con il fratello Giovanni (Nanni Moretti), ingegnere in periodo di aspettativa.
Mia Madre, la nuova opera di Nanni Moretti, è un film sul lutto e la sua elaborazione. Lontano dalle tinte scure di “La stanza del figlio”, in cui si raccontava di una morte innaturale, quella di un figlio, la separazione raccontata nel suo nuovo film è molto più dolce. Non c’è disperazione, ma un dolce saluto al genitore, una celebrazione delle origini, sottolineando quanto le radici siano importanti, genetiche, linguistiche o di qualsiasi tipo esse siano. E’ un viaggio tra realtà e finzione che si intrecciano nella mente di Margherita attraverso un tuffo nei ricordi per ritrovare le proprie origini. Iconica la scena in cui sulle note di Famous Blue Raincot passeggia fuori un vecchio cinema, incontrando le persone del suo passato e anche lei stessa molto più giovane. Nanni Moretti cede il posto e lascia il ruolo da protagonista a Margherita Buy, che tuttavia incarna perfettamente le paturnie e le manie del regista, regalando un’interpretazione d’attore indimenticabile. Attraverso un alter-ego Moretti mette completamente a nudo se stesso, mentre attraverso il suo personaggio osserva silenzioso e in disparte, quasi con rassegnazione. Una sorta di sdoppiamento della persona mediante il quale traccia una delicata autobiografia di un evento doloroso: la perdita della propria madre.
Andrea Ruberto