Cominciamo col dire che, oggi, nel golfo di Napoli non si disputa l’America’s cup. Quella si svolgerà a San Francisco nel settembre del 2013. Non si disputa nemmeno la Louis Vuitton cup. Quella si svolgerà a San Francisco nel luglio del 2013. Non si disputa nemmeno una cup. Non si disputa quasi niente, perchè è una specie di allenamento. Un’amichevole.
Oggi a Napoli si apre metà di una (quella veneziana) delle quattro tappe delle serie preliminari della Coppa America. La differenza c’è, e non è da poco. Per capirci : una cosa sono i mondiali di calcio, una cosa sono le qualificazioni ai mondiali di calcio; un’altra cosa ancora le amichevoli di preparazione ai mondiali.
Una cosa sono le Olimpiadi, una cosa sono i trials per qualificarsi alle Olimpiadi.
Parlare di Coppa America, quindi, è sostanzialmente un pezzotto (per i non napoletani, cercare su google). Che si capirebbe di più se parlassimo di Louis Vuitton, data la frequentazione delle massaie napoletane con le famose borse marroni tempestate di LV, cucite nei bassi della Pignasecca.
Col pezzotto le borse, col pezzotto la coppa.
Detto ciò, proviamo a ragionare un minuto sulle cose positive e su quelle ridicole di questo evento internazionale di cui, in queste ore, tanto si parla a Napoli.
Di positivo c’è che gli alberghi napoletani sono pieni (così dicono); che ancora una volta abbiamo modo di mostrare anche il taglio fascinoso del viso di questa meravigliosa città, e non solo lo sfregio permanente che ne solca l’altra metà; che, per l’occasione, viene pedonalizzato il lungomare, e forse diventa un’isola permanente, un pezzo di città restituito alla vibilità, fatto positivo a condizione di costruire cose intorno e dentro l’isola, che non diventi un’Alcatraz; infine, nell’insieme, sull’evento, sta salendo una mossa di orgoglio collettivo che magari può mettere in moto un’energia positiva, di costruzione.
Il ridicolo è, invece, tutto il resto. Più o meno quello che ha a che fare con il nostro vizio di voler risolvere le questioni con un tocco magico, o con l’uomo della provvidenza. Mettiamo quattro vele nel golfo, scattiamo una foto, e via. Mettiamoci un capopopolo un po’ demagogo. E Napoli è cambiata. Napoli è bella. Napoli è la più bella. Napoli è la più bella al mondo. Troppo facile e troppo comodo.
Per Napoli aspettiamo una cosa seria. E la aspettiamo dalla classe dirigente, la stessa che gonfia il petto, in queste ore, per aver fatto mettere il vestito buono ad un corpo marcio.
Bene. Bravi. Bis. Tagliate il nastro ma non tagliate la corda.
Adesso vogliamo un progetto.
Un progetto significa una strategia di sviluppo, una visione sul futuro, un percorso misurabile per obiettivi a breve, medio e lungo periodo che significhi infrastrutture, sviluppo, lavoro; che significhi lotta al clientelismo, alla camorra, alla corruzione; che significhi legalità, ordine, vivibilità.
Quanto siamo distanti da tutto questo?
Secondo me, tantissimo. Non abbiamo ancora nemmeno cominciato a ragionarci. Non vedo organizzazione, né percorso, né protagonisti capaci di segnarlo. Ci sono propaganda, slogan, pezzotti e fuochi d’artificio.
Molto fumo, che, com’è noto, prima ti piace e poi ti intossica.
Antonio Menna