Estorsione, ricettazione, spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco con le aggravanti delle finalità mafiose. Sarebbero questi i reati contestati dallo stato a 21 persone, molti dei quali appartenenti alla famiglia del noto baby boss Emanuele Sibillo. Quest’ultimo morto a soli 20 anni nel 2015 per mano di un clan rivale (Buonerba) era al vertice della cosiddetta “paranza dei bambini”.
Spesso inneggiato dai più giovani che copiano l’ormai famosa barba lunga, ES17 (così veniva chiamato) rappresentava un punto di riferimento per il nascente clan dei giovanissimi. Di lui stamani sono state ritirate anche le ceneri, poste in un mezzobusto all’interno di un altarino in via Santissimi Filippo e Giacomo. Cancellati dalle mura del paese anche i murales che presentavano il giovane come vero e proprio eroe. Dopo gli arresti sono arrivate le proteste della famiglia Sibillo contro le forze dell’ordine: i familiari del baby-boss rivendicavano la proprietà privata dell’altarino.
Sedata la ressa gli inquirenti stanno ora procedendo a scovare nuovi busti, murales e simboli inneggianti il Sibillo. La camorra rappresenta un cancro da estirpare fino alle sue radici: cancellare le tracce di un giovane che ha preso una strada sbagliata per la sua vita potrebbe rappresentare la salvezza per chi come lui si trova nel momento di scegliere. Riferimenti come quelli rinvenuti nei vicoli di Napoli questa mattina possono solo danneggiare ad una società ricca di contesti “difficili” come quella partenopea.
Giovanni Gravoso