Sono stati rinviati a giudizio tutti i dieci imputati dell’udienza preliminare sulla trattativa Stato-Mafia, accusati di aver siglato un patto tra le istituzioni e i boss di Cosa Nostra, per fermare le stragi dopo l’attentato al giudice Giovanni Falcone. Così ha deciso il Gup di Palermo Piergiorgio Morosini accogliendo integralmente le richieste dei pm della Procura di Parlermo Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Alla sbarra ci saranno l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, il generale dei carabinieri Mario Mori, gli ex ufficiali dell’Arma, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, Massimo Ciancimino. Gli altri che dovranno comparire davanti alla Prima sezione della Corte d’Assise di Palermo il prossimo 27 maggio sono Totò Riina, il boss Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca.
Secondo gli inquirenti “Gli imputati hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica”. Per il pentito Giovanni Brusca e per Dell’Utri l’accusa è di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato; per Ciancimino di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e concorso in associazione mafiosa. L’ex ministro Nicola Mancino invece dovrà rispondere soltanto di falsa testimonianza.
Il primo verdetto sulla presunta trattativa tra capimafia e uomini delle istituzioni arriva dopo un’inchiesta durata circa quattro anni, fino ad ottobre coordinata dall’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Il gup Morosini che ha accolto la linea dell’accusa ha fatto allo stesso tempo delle considerazioni piuttosto inequivocabili rispetto all’indagine, criticando in parte la Procura che aveva coordinato l’inchiesta definendola “disorganica”. E ancora: “Il materiale acquisito non è pervenuto al giudice in maniera intellegibile”.
Dalla ricostruzione dell’accusa emerge che l’ex ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno Calogero Mannino (che ha chiesto il rito abbreviato) sarebbe stato il primo ad intavolare questa trattativa con la cupola mafiosa perché temeva un attentato. Gli uomini del Ros a quel punto avrebbero avviato il dialogo con i vertici di Cosa nostra tramite l’ex sindaco Vito Ciancimino. A questo proposito Massimo Ciancimino, collaboratore di giustizia dal 2008, conferma gli incontri del padre con gli ufficiali dell’Arma dei carabinieri; trattativa che l’ex sindaco di Palermo avrebbe gestito da parte di Totò Riina già prima degli attentati ai danni Di Falcone e Borsellino. Secondo la Procura l’ex ministro Mancino sarebbe stato informato dell’iniziativa dei carabinieri del Ros di trattare con Cosa Nostra dall’ex ministro della giustizia Claudio Martelli.
Dopo l’arresto di Riina da parte dei Ros la trattativa stato-mafia sarebbe proseguita con il suo successore, Bernando Provenzano; questa volta però, secondo le dichiarazioni di Ciancimino junior, il referente a Palazzo sarebbe stato il senatore del Pdl Mrcello dell’Utri. Tra le richieste del boss Provenzano ci sarebbe stata quella di alleggerire il regime di carcere duro ai mafiosi. Proprio in quel periodo infatti all’interno dell’amministrazione penitenziaria guidata dal nuovo direttore furono introdotti dei provvedimenti riguardanti l’ammorbidimento del 41 bis. Nell’atto d’accusa dei pm anche dopo l’elezione di Silvio Berlusconi a capo del governo, Dell’Utri avrebbe continuato a fare da tramite con i capimafia; Bagarella e Brusca avrebbero infatti chiesto a Berlusconi l’ottenimento di alcuni benefici per gli aderenti a Cosa Nostra.
Sono tanti dunque i commenti sulla disposizione del Gup, primo fra tutti l’ex ministro Nicola Mancino. “Non condivido la decisione: sono certo che le prove da me fornite all’udienza preliminare sulla mia totale estraneità ai fatti contestatimi saranno accolte dal Tribunale in un dibattimento, che spero si concluda in tempi brevi”, ha detto Mancino. “Chiedo un processo rapido che dimostri la mia innocenza – ha aggiunto- ritengo che il Giudice dell’udienza preliminare di Palermo si sia preoccupato di non smontare il teorema dell’accusa sulla conoscenza da parte mia dei ‘contatti intrapresi da esponenti delle Istituzioni con Vito Ciancimino e per il tramite di questi con esponenti di Cosa nostra’ e, perciò, abbia accolto la richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza formulata dal Pubblico Ministero”.